Bullismo e cyberbullismo: l’impegno delle associazioni

Chi è solito passare di qui, a curiosare quanto viene pubblicato sul blog, avrà intuito come un argomento a me caro è quello del contrasto al bullismo e alla sua forma più moderna, quella del cyberbullismo.

Un fenomeno che non riguarda soltanto bambini e ragazzi, a cui si pensa appena si fa riferimento a questi due termini, ma che interessa e coinvolge tutti, indistintamente. Perché le parole feriscono, fanno male e in bambini, ragazzi, giovani e adulti che stanno vivendo situazioni di particolare fragilità possono causare danni irreparabili.

C’è chi, per una parola, una frase detta male, a volte senza neppure l’intenzione di ferire (e questo ci deve far riflettere e contare sino a mille prima di dire qualsiasi cosa), entra in un cortocircuito, in un black out senza fine. Un cortocircuito da cui è difficile uscire e che, spesso, può portare a conseguenze tragiche. Tanto tra i ragazzi, quanto tra gli adulti.

A farci capire chiaramente quanto alle parole necessiti fare attenzione è stata Carolina Picchio, la giovane novarese prima vittima di cyberbullismo in Italia. Nei suoi diari, nei suoi appunti, tra le tante frasi, quella che a giusta ragione può rappresentare il suo monito per il futuro: “Le parole fanno più male delle botte”.

O ancora: “Il bullismo… tutto qui? Siete così insensibili”. Con lei il primo processo in Italia per cyberbullismo e una nuova, importante e concreta, attenzione sulla tematica. Quella che, prima, fatta eccezione da parte di chi quotidianamente si occupa di bambini e ragazzi (insegnanti, animatori, educatori, sacerdoti), mancava.

Ho conosciuto tanti amici con figli vittime di bullismo, al centro di veri accanimenti: o per il loro aspetto fisico o per qualche difetto nel parlare, magari una lieve balbuzie, ma anche la ‘r’ moscia o altri pseudo difetti di pronuncia (pseudo perché difetti non sono), o solo perché un po’ più timidi e introversi degli altri; magari impacciati.

E le situazioni che si vivono non sono certo semplici. A volte il bambino, il ragazzo, smette di mangiare, non vuole più andare a scuola, si chiude a riccio e non si riesce più a entrare nel suo mondo, per cercare di capire cosa sta accadendo. E, soprattutto, per aiutarlo.

Una situazione non certo diversa dal passato, quando la ragazzina ero io, i famosi anni ’80. Ricordo come fosse oggi, che di anni ne sono passati davvero molti, le battute, pessime, nei confronti di un ragazzo della mia compagnia che camminava male per un problema alla gamba, da “Pinocchio” a “Gamba di Legno”.

O anche quelli, sempre epoca delle medie, nei confronti di un amico che, solo perché non reagiva con le botte agli scherzi che subiva, veniva etichettato come effeminato e preso costantemente a calci nello zaino, pur di rompergli gli occhiali che ritirava lì terminate le lezioni.

Certo non c’era il web, che ha acuito il problema in maniera esponenziale, con scherzi e offese che si moltiplicano per mille. E che ti possono raggiungere ovunque, sul tuo smartphone, sul tuo tablet, sul tuo pc.

A quei tempi erano le parole a voce, gli atteggiamenti, a fare male. Una situazione che non cambiava (e non cambia neppure ora) passando dalle medie alle superiori, dove ci dovrebbe essere o si aspetterebbe di avere una maggiore attenzione, vista l’età più grande dei ragazzi.

Così non era e non è. Ricordo ancora un “ma che sedere hai, hai messo su una quintalata” da una compagna di classe in un’assemblea in occasione di un’occupazione della scuola a fine quasi della seconda liceo. Quella frase, almeno a posteriori penso furono quelle poche parole lì, scatenò in me, che pensavo di essere una persona abbastanza forte e ‘intaccabile’ dalle parole che feriscono l’anima, un’attenzione morbosa per il cibo, arrivando a calcolare tutto quanto entrava nel mio corpo, controllando quanto bevessi, ogni briciola di pane ingoiata. E poi ginnastica, io già sportiva, biciclettate infinite, addominali dopo ogni pranzo e ogni cena. Ricordo solo che arrivai a pesare 38 chili scarsi, dagli allora 52-53, per 1,60 o poco meno di altezza. E che, per molti anni, rinunciai a piatti prelibati, dalla pizza (ora, se ‘Baby’, la finisco tutta e mi dico ‘ma cosa ti sei persa, Moni!”) ai primi, squisiti, che preparava mamma e che io non volevo in alcun modo. Riducendomi a essere uno ‘scheletrino’ e preoccupando chi mi stava accanto. La superai da sola, credo verso la fine del percorso universitario e nei primi anni del lavoro.

Ecco l’importanza delle parole, che troppe volte sottovalutiamo. Le parole, se toste, se sbagliate, se brutte, feriscono, fanno male, scavano dentro. Certo ci sono anche quelle belle, i “Grazie”, gli “Scusa”, i complimenti, quelli veri, non quelli falsi o detti così per dire, i “forza” a chi sta lottando con qualcosa di più grande di lui. I “credi in te stesso, ce la farai”. Queste sono le parole, le frasi da usare.

Quelle ‘brutte’, quando ricevute, sono difficili da gestire da un bambino o da un ragazzo. A volte, come ho scritto all’inizio, anche da un adulto con un’eccessiva sensibilità o che, in quel momento della vita, sta vivendo difficoltà e problemi che magari cerca di nascondere, ma esistono. E sono, per lui, un vero macigno. Non sappiamo, inoltre, mai come può vivere una persona qualcosa che a noi sembra in un modo, magari una banalità, ma per quella persona è ciò a cui più tiene nella vita. Non tutti abbiamo la stessa sensibilità, lo stesso modo di reagire alle difficoltà della vita.

Non dico tutto questo per farmi bella. Ma perché sono davvero cose in cui credo e che ho sperimentato e sperimento tutt’ora nella mia vita, sulla mia pelle e dai racconti di tanti amici.

Le parole sono quanto di più bello abbiamo a disposizione per comunicare tra noi, per raccontare a un amico qualcosa che sentiamo dal cuore, per dire ‘ti voglio bene’. E quante volte si fatica a pronunciare queste tre parole magiche e bellissime? Io stessa, pur non conoscendo tutt’ora la ragione, ho sempre faticato a dirle, anche a chi volevo e voglio un bene infinito. Da qualche tempo riesco e sto bene quando le pronuncio. Sembrerà debolezza, farà tenerezza? A me, sinceramente, non importa. O quantomeno non importa più, perché è bellissimo dirle. Le parole ci aiutano a dire ‘ti amo’ alla persona che amiamo, a essere di sostegno a chi non sta bene, a chi, magari, è stato ferito da altre parole, di tutt’altro genere, quelle ‘cattive’.

Ecco dobbiamo imparare a usare le parole, a capire la loro importanza e a usare quelle che fanno bene all’anima. Soprattutto dobbiamo capire le nostre emozioni, valutarle, esaminarle e comprenderle.

Da un po’, una nuova maturità, un malessere, un cambiamento? Non lo so. A me è sufficiente usare un epiteto poco simpatico nei confronti di un amico o di una persona a me vicina, per mettermi subito sotto esame. A volte basta un “cretinetti” o un “pisquano” (reminiscenza dei tempi del liceo, dove, in classe, lo utilizzava anche una professoressa). Un istante dopo che quella parola è stata pronunciata vorrei mordermi la lingua e tornare indietro. Sia lui sia rimasto sia non gli abbia cagionato nulla. Non c’è motivo di offendere: si può ragionare, riflettere insieme. Se mi accade come reazione, pur se potrebbe esserci una giustificazione, lavoro affinché non mi accada più.

Se dovesse capitare senza alcun motivo, le elucubrazioni sono più lunghe. Lavoro su cosa mi ha spinto, cerco di capire me stessa, ciò che sento, perché ho detto quella parola, quella frase.

Le “brutte” parole sono sempre sbagliate, anche se “sollecitate” da qualcosa. Non dico che si debba cercare di essere perfetti, quasi santi, ma, se si sbaglia, a quel punto ecco un’altra parola magica: ”scusa”.

Sono tutte le ragioni per cui, da parte mia, ci sarà sempre grande stima nei confronti di tutti coloro che si impegnano, con azioni, progetti, sportelli d’ascolto, ad aiutare le vittime di bullismo e di cyberbullismo. Soprattutto i ragazzi, i bambini, che sono il nostro futuro. Sono loro che vanno tutelati. Apprezzerò sempre chi attiverà progetti in questa direzione. Ad associazioni, singoli e realtà che danno vita, oltre che a progetti, anche a importanti iniziative di prevenzione e sensibilizzazione. Perché, e mai è sbagliato ribadirlo, la prevenzione è fondamentale.

I bambini e i ragazzi bullizzati, di oggi e di ieri, ringrazieranno sempre.

Sul territorio di Novara e del Novarese sono diverse le realtà che si occupano di questo, spesso in sinergia con le scuole. Si va da Fondazione Carolina, nata in memoria di Carolina Picchio, al Progetto per Tommaso, che ricorda un altra giovane vittima di cyberbullismo, Tommaso appunto, studente del liceo scientifico Antonelli.

E poi, ultima nata, ma già molto attiva e con tante iniziative e tanti progetti in cantiere, l’associazione di promozione sociale Sbulloniamo Insieme, che ha la sua sede in corso della Vittoria 5 D.

Oggi, nella settimana in cui è stata celebrata la Giornata contro il bullismo e il cyberbullismo, che ricorre ogni anno il 7 febbraio, dopo aver visto in azione il suo staff più volte, tanto nelle scuole quanto in convegni e iniziative, è proprio di Sbulloniamo che vi voglio parlare.

Una squadra tutta al femminile, entusiasta e sempre al servizio dei nostri bambini, dei nostri ragazzi.

L’associazione, dalla sua fondazione, nell’aprile del 2019 come sportello, poi diventata vera e propria associazione nell’aprile 2022, si occupa di arginare e prevenire i fenomeni di bullismo e disagio giovanile, educare alla legalità e creare un punto di contatto e dialogo sociale tra giovani, famiglie, scuole, istituzioni e imprese presenti sul territorio.

Sbulloniamo accoglie tutti coloro che presentino problemi di bullismo o di cyberbullismo, fornendo ascolto e sostegno. Un servizio gratuito per rispondere alle situazioni di disagio. A farne parte un importante team di professionisti, che aiuteranno a individuare il problema e a riconoscerlo, fornendo supporto psicologico, educativo e legale.

Presidente dell’associazione, Michela Agnesina. A fare parte della squadra Alessandra Porzio, educatrice professionale e tutor dell’apprendimento, Silvia Rampone, psicologa psicoterapeuta, Anna Bosco, avvocato civilista, Sara Vescera, medico chirurgo e psicoterapeuta, Letizia Manfrin, laurea in Scienze e tecniche psicologiche, Francesca Pagetti, psicologa e analista del comportamento, Anna Zandrino, avvocato familiarità e minorile, curatore speciale dei minori (Foro di Torino), Martina Ramella, ricercatrice scientifica, Vanessa Cerina, pedagogista, Martina Porzio, social media e addetto stampa, Gianina Apostol, collaboratrice studio legale, Patrizia Gerardi, segretaria associazione e supporto grafico. Per informazioni sportelloascoltosbulloniamo@gmail.com oppure telefonando o inviando un sms o WhatsApp tutti i giorni, al numero 3518374556. Disponibili anche le pagine Facebook e Instagram “Sbulloniamo insieme”.

Lo staff di Sbulloniamo a un evento al Broletto con lo psicoterapeuta Alberto Pellai

Molte le iniziative portate avanti in questi primi anni di vita dell’associazione.

Si parte dalla seconda edizione del concorso scolastico “Il bullismo visto dai miei occhi”, che ha aperto ufficialmente la seconda annualità il 7 febbraio 2023, Giornata, come anticipato, contro bullismo e cyberbullismo.

Un appuntamento nel quale sono coinvolte tutte le scuole del territorio, di ogni ordine e grado, che possono partecipare al concorso con testi, disegni, riflessioni, ma anche con segnalazioni. I lavori dovranno essere consegnati entro il 28 febbraio, inviando il materiale alla mail sportelloascoltosbulloniamo@gmail.com. Si potrà imbucare i lavori preparati anche nelle apposite buche delle lettere allestite nelle scuole del territorio.

Dallo scorso autunno, invece, l’associazione sta promuovendo nelle scuole “Tu chiamale se vuoi… emozioni“.

Una serie di incontri in cui si riflette sui sentimenti, sulle emozioni, sul rispetto dell’altro e, elemento che ritorna e fondamentale nella lotta al bullismo, sul valore delle parole, sulla loro potenza. «Un progetto – come ha spesso riferito la presidente – che molte scuole hanno chiesto e in cui coinvolgiamo direttamente, i bambini, i ragazzi».

Lo staff di Sbulloniamo parla così ai ragazzi di empatia, dell’importanza di mettersi nei panni dell’altro, di educazione all’ascolto e di legalità. Un’educazione alle emozioni per aiutare a riconoscerle e a comprenderle, arrivando a dominarle senza nasconderle e a trasformarle in un mezzo per conoscere l’altro e, quindi, per arrivare a saperle gestire. Senza farsi sopraffare. Un percorso bello, interessante e coinvolgente, che, in alcuni casi, sarebbe utile e di supporto anche agli adulti. I ragazzi riflettono su tutti questi aspetti, evidenziando situazioni ed eventi tanto positivi quanto negativi che riguardano la classe. Li segnalano e poi ne parlano con lo staff di Sbulloniamo.

Tra gli altri eventi di grande successo, nel settembre del 2021, al campo sportivo di Veveri, “Sbulloniamo giocando insieme”. Un modo per avvicinare i bambini e i ragazzi alle Forze dell’Ordine. Obiettivo far capire loro che Polizia, Carabinieri e Polizia locale non sono nemici o solo quelli che fanno le multe. Ma sono soprattutto amici a cui chiedere aiuto quando si è in difficoltà. Un pomeriggio di grande successo, con la partecipazione anche di molte autorità, dal sindaco Alessandro Canelli al presidente del Centro servizi per il territorio, Daniele Giaime. Nel pomeriggio dimostrazioni e momenti di gioco organizzati, in sinergia con le associazioni del territorio presenti.  

A maggio la partecipazione, nella zona antistante lo stadio, all’iniziativa “Aiutaci ad aiutare” con 118, Polizia, Carabinieri e tante altre associazioni di volontariato della città.

Lo scorso Natale, un’originalissima raccolta fondi, con l’Albero di Natale delle emozioni. Con un piccolo contributo lo si poteva addobbare con una pallina emozionale. Sono stati così raccolti fondi utili al progetto scolastico sulle emozioni.

L’albero delle emozioni

Poco prima, a novembre, in un Arengo del Broletto gremito in ogni ordine di posti, ecco l’arrivo in città dello scrittore e psicoterapeuta Alberto Pellai, invitato proprio da Sbulloniamo con il Centro di giustizia riparativa per parlare di ‘educazione digitale’, un tema particolarmente sentito da chi, ogni giorno, vive a stretto contatto con bambini e ragazzi. Genitori, insegnanti, animatori.

Pellai, nell’occasione, ha rivolto un invito alle famiglie, ai genitori, ma anche agli insegnanti e a tutti coloro che, quotidianamente, si rapportano con giovani e giovanissimi. Un invito a essere referenti di responsabilità nei confronti
dei pre-adolescenti. In particolare di fronte al web, all’utilizzo sempre più precoce di smartphone e social network. All’uso improprio di oggetti che espongono i giovanissimi a situazioni alle quali spesso difficilmente sanno reagire e reggere e che possono anche portare a conseguenze molto gravi. E questo, tra l’altro, non solo tra i giovani, come emerge da tante notizie di cronaca, che raccontano di suicidi anche tra adulti, che non sono riusciti a sostenere la forte esposizione mediatica cui sono stati sottoposti sui social.
Obiettivo è stato parlare e confrontarsi sui bisogni educativi nell’età evolutiva dei nativi digitali, cercando di comprendere come aiutare i giovanissimi dinanzi al web e allo smartphone, che, spesso, è nelle mani dei ragazzi da molto presto, come recita il titolo di uno dei libri di Pellai e dello stesso incontro al Broletto, “Tutto troppo presto”.

A emergere la necessità di fare rete, di promuovere sempre più incontri e azioni per affrontare il fenomeno. «I pre-adolescenti – ha riferito Pellai – hanno un cervello emotivo, affamato di emozioni intense. Nell’età della pre-adolescenza la parte emotiva del cervello diventa potentissima, quella cognitiva, invece, resta, tra i 10 e i 14 anni, immatura. Non hanno le capacità di integrare funzionamento emotivo e cognitivo. Per questo è nostro compito aiutarli. Tocca a noi genitori essere referenti di responsabilità, portando i nostri figli a riflettere».

L’associazione è stata anche tra i protagonisti delle due edizioni de “La strada si fa scuola”, iniziativa promossa dalla Polizia di Stato di Novara con le associazioni e le scuole del territorio.


Progetti, iniziative, azioni che proseguono tutto l’anno, incessantemente. E che, spesso, si realizzano in sinergia con le Forze dell’Ordine, a partire dalla Polizia di Stato.

Proprio la Polizia, in occasione della Giornata contro il bullismo, insieme a Rai Documentari, ha presentato “Senza rete”, un docufilm che racconta il cyberbullismo per sensibilizzare all’uso consapevole del web.

“È un incubo e non so come uscirne, vorrei solo sparire per sempre”. Con queste parole inizia “Senza Rete”, un docufilm che racconta il cyberbullismo provando a svelarne la natura: un mostro da guardare in faccia per poterlo riconoscere e affrontare.

L’idea di questo documentario nasce dall’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno scolastico lo scorso 16 settembre a Grugliasco (TO), che, ricordando il dramma di Alessandro Cascone – il giovane di Gragnano suicida a 13 anni vittima di bullismo – ha sollecitato un maggior impegno al contrasto del cyberbullismo da parte dell’intera società e ricordato il valore della scuola, centrale per la nostra Repubblica.

Per chi volesse riveder il docufilm, che ha una durata di poco più di cinquanta minuti, è disponibile su Rai Play.

E ora, a conclusione di questo articolo lunghissimo (sul giornale avrei già dovuto tagliare da un pezzo e ovviamente non avrei potuto inserire quello che provo quando vedo o ascolto un atto di bullismo, pensando anche alla me ragazzina), non mi resta che ricordare quanto scriveva “Caro”, ossia “Le parole fanno più male delle botte”. Osando aggiungere “Usiamo quelle buone, quelle positive” e, per chi si trova in mezzo a queste situazioni, un invito a rivolgersi a chi sa aiutare, come Sbulloniamo Insieme e tante altre realtà presenti sul territorio. Non dimenticando le nostre Forze dell’Ordine.

Monica Fiocchi Curino

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